Intervista a Mirko Belloni: Da tifoso sugli spalti a protagonista in campo

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D: Come stai vivendo questo periodo? Al di là dell'opportunità con la nazionale, quest'anno rappresenta per te un grande cambiamento, anche a livello mediatico. Sei diventato uno dei volti più riconosciuti dell'élite rugbistica italiana. Come ti senti rispetto a questa crescita e ai cambiamenti che stai affrontando?

R: Sì, sicuramente. Sono molto contento. La differenza si è sentita, soprattutto a livello fisico e del ritmo, dalla Serie A alla Serie Elite. Anche facendo gli allenamenti pre-stagione, ho avuto quel tempo per adattarmi. Sì, con i ragazzi, appena sono arrivato a Rovigo, anche se ero prima a fare il pre-stagione con Treviso, mi hanno subito accolto bene. Anche in campo mi aiutavano spesso e questo mi ha aiutato tanto anche per inserirmi più velocemente nel gruppo. Sono cresciuto lì fino ai 14 anni, quindi ho sempre vissuto la squadra da tifoso. Quando ero nelle giovanili, ero ancora piccolo e andavo a vedere le partite dagli spalti, ma non avevo mai vissuto direttamente l'ambiente della prima squadra. Quando sono tornato, è stato tutto nuovo, anche il fatto di allenarsi la mattina, un'esperienza completamente diversa.

D: Sei passato rapidamente dal ruolo di tifoso a giocatore chiave per l'equilibrio della squadra. E ora sei passato da spettatore degli allenamenti della nazionale a essere parte del gruppo. Come vivi questo cambiamento?

R: È stato un cambiamento importante. Mi ricordo che solo un paio di stagioni fa saltavamo la scuola per andare al Payanini Center a vedere gli allenamenti della nazionale. Ritrovarmi ora ad allenarmi con loro è stata una sensazione strana, soprattutto i primi giorni. Vedere dal vivo giocatori che seguivo in TV fino a pochi mesi fa fa effetto. Però è anche molto stimolante, perché mi alleno con giocatori di livello internazionale, abituati a Top 14 e URC. Le prime sensazioni sono state difficili da spiegare, tantissimi stimoli e tantissima emozione.

D: In questi anni la tua crescita come giocatore è stata rapidissima, passando in poco tempo dall'Under 20 alla nazionale maggiore. Ti senti pronto per questa realtà o avverti ancora un certo distacco rispetto ai tuoi compagni più esperti?

R: Non sento di aver bruciato le tappe, ma piuttosto di aver seguito un percorso costante. Ho vissuto una crescita progressiva: dalla Verona Rugby Academy alla prima squadra, dall’Under 20 alla Serie Elite. Il passaggio alla nazionale maggiore è uno step ancora più grande, perché il livello è molto più alto in termini di ritmo, tecnica e decision making. Serve tempo per ambientarsi. Anche il contesto è diverso: a Rovigo si gioca a un buon ritmo, ma in nazionale il livello è completamente un altro. Per fortuna, il gruppo è molto accogliente, e già dalla terza settimana ho iniziato a sentirmi più a mio agio.

D: C'è stato qualcuno in nazionale che ti ha accolto in modo particolare, aiutandoti a inserirti nel gruppo?

R: Non direi una persona in particolare. Il primo giorno, a tavola, Nacho Brex si è seduto vicino a me dicendo: "Mi siedo qui solo perché sei amico di Toro (Lautaro Casado Sandri)". Questo già dà l'idea dell'ambiente scherzoso e inclusivo. Con il passare dei giorni, ho parlato con diversi giocatori come Ruzza e Garbisi e ovviamente il capitano. Tutti sono ottimi leader. Stanno costruendo un bel gruppo, sia dentro che fuori dal campo.

D: Quante settimane di raduno hai già fatto con la nazionale maggiore?

R: Prima della partita contro la Scozia ho fatto un giorno e mezzo. Poi ho partecipato ai cinque giorni di preparazione per il Galles e ora questa settimana. In totale, quindi, questa è la terza volta che vengo. D: Hai percepito differenze nell'approccio agli allenamenti tra una sconfitta e una vittoria nel Sei Nazioni?

R: Non ero presente subito dopo le partite, ma ho notato come il gruppo riesca a voltare pagina velocemente. Dopo la sconfitta con la Scozia, la squadra ha subito iniziato a preparare il Galles. E anche dopo la vittoria storica contro il Galles, a inizio settimana si parlava già della partita successiva.

D: Hai avuto modo di parlare con il coach, Gonzalo Quesada?

R: Sì, abbiamo parlato in modo molto tranquillo, sia di aspetti tecnici che extra-campo. Mi ha dato il benvenuto e mi ha messo subito sulla strada giusta. Credo che il coinvolgimento dello staff della nazionale maggiore nelle nazionali under sia fondamentale per scoprire e valorizzare i giovani più promettenti, dando loro la possibilità di crescere e dimostrare il proprio valore sotto i loro occhi. Per me è stato proprio così: la chiamata è arrivata dopo che i coach German Fernandez (coach dei punti d’incontro) e Richard Hodges (specialista della difesa) sono venuti in Scozia a seguire l’under 23.

D: Come stai approcciando mentalmente questa opportunità con la nazionale maggiore?

R: La sto vivendo come uno sprone per spingere ancora più forte e crescere ogni giorno. Non ho ancora fatto nulla. Essere qui mi ha fatto capire il livello altissimo che c'è e quanto devo ancora migliorare. La nazionale non è solo tecnica e fisico, ma anche leadership e mentalità. Vestire la maglia azzurra significa portare una responsabilità enorme. Devi essere pronto sotto ogni aspetto, non basta essere forti tecnicamente. È un processo di crescita continua, in cui ogni esperienza ti aiuta a capire a che punto sei e quanto devi ancora lavorare per giocare stabilmente a questo livello.

D: Qui a Verona hai ancora tanti amici e sopratutto tuo fratello Luca. Stai seguendo la squadra?

R: Sì certo! Anche domenica non mi sono perso la partita, l’ho vista su YouTube e poi ho sentito mio fratello per complimentarmi per la vittoria. Sono sempre un bel gruppo, anche se mi è dispiaciuto vedere qualche momento di difficoltà conosco il loro valore e sono certo che sapranno finire alla grande la stagione. Mando il mio in bocca al lupo ai ragazzi!